Il calcio italiano si prepara a scrivere, nel febbraio 2026, una pagina inedita: Milan e Como si sfideranno a Perth, in Australia, per una gara di Serie A che abbandona il consueto scenario europeo. La decisione nasce dall’indisponibilità di San Siro (impegnato nelle Olimpiadi), ma trova il suo senso più profondo nell’esplorazione di nuovi mercati, nel desiderio delle squadre di raccontarsi a un pubblico diverso e nell’idea che il calcio possa diventare, sempre più, uno straordinario strumento di incontro e contaminazione globale.
Perth, capitale del Western Australia, incarna l’essenza di una città moderna: spiagge infinite, parchi urbani come Kings Park, quartieri vibranti e multiculturali. È qui che convergono sogni, ricordi e frammenti di identità in viaggio: una meta ambita da giovani italiani e non, attratti da stipendi elevati e benefit reali — persino da lavori fisicamente impegnativi e rischiosi — segno di una società che, pur chiedendo molto, offre prospettive concrete di crescita e indipendenza.
In Australia, infatti, il sogno di una vita migliore passa spesso attraverso esperienze estreme: non solo lavori tradizionali, ma anche quei mestieri che, per molti giovani (non solo italiani), rappresentano il prezzo da pagare per accedere a stipendi competitivi e benefit fuori scala rispetto all’Europa. Settori come le miniere, l’agricoltura, l’edilizia attirano ragazzi disposti a tutto, pur di sentirsi parte di una società capace di premiare il merito e garantire prospettive di futuro concreto. È una tendenza che solleva domande profonde: se il mercato del lavoro italiano spinge i suoi talenti così lontano, cosa dice oggi della sua capacità di accogliere e valorizzare le generazioni che avanzano?
Fa parte del fascino australiano anche la narrazione pop diffusa sui social, tra video virali di animali sorprendenti — tarantole gigantesche avvistate sotto il letto, serpenti che si aggirano nei salotti di casa, canguri e wallaby urbani — e leggende moderne che creano un immaginario a metà tra natura ostile e spettacolo. Questa dimensione folkloristica, spesso sdrammatizzata in chiave ironica, contribuisce ad alimentare il mito locale: un Paese dove il “rischio” fa parte dell’avventura, ma anche della sfida quotidiana.
In questo contesto di attrazione e rischio, di sogni e paure, il calcio italiano che sbarca a Perth si inserisce come rito collettivo: una presenza capace di unire outsider e nostalgici, lavoratori temporanei e tifosi storici, tutti in cerca di un punto di riferimento, di un’emozione che sappia ancora parlare di casa, di riscatto e di futuro.
Oltre ai bisogni logistici e alle ragioni economiche, la scelta di portare una partita di Serie A in Australia rappresenta, per i club e la Lega, una strategia precisa di ampliamento della fanbase internazionale. L’obiettivo dichiarato è quello di esportare il calcio italiano, rendendolo protagonista anche in mercati in cui il soccer resta ancora dietro a rugby, cricket e australian rules football per tradizione e numeri.
L’evento di Perth diventa dunque un banco di prova per misurare l’appeal del nostro campionato al di fuori dei confini storici: la speranza è quella di sedurre nuove generazioni di tifosi, incuriosire pubblici lontani e – magari – contribuire a far crescere la popolarità della Serie A in un paese che incarna al tempo stesso spirito cosmopolita e desiderio di nuove storie da condividere. Milan-Como a Perth non è solo una partita: è una finestra sul mondo, uno sforzo di “internazionalizzazione” pensato per rinnovare il racconto del nostro calcio, consolidare il rapporto con la diaspora italiana e accendere entusiasmi in continenti dove il pallone tricolore è ancora sinonimo di fascino, ma non sempre di appartenenza quotidiana.
In tal senso, Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie A, ha definito il trasferimento del match a Perth “un atto di visione” e, nel difendere la decisione, ha dichiarato:
Il Tour de France parte da Firenze, il Giro d’Italia comincia spesso all’estero. Lo si fa per rinforzare il prodotto, non per indebolirlo. Mi auguro che i tifosi capiscano che questi piccoli sacrifici portano vantaggi nel medio-lungo periodo.
La partita in Australia è, dunque, una frontiera da varcare con coraggio: un modo per proiettare il calcio italiano oltre i suoi confini storici, senza smarrirne l’identità.

In questo quadro, la decisione del Como di invitare 50 tifosi-ambasciatori a Perth assume un profilo quasi epico: una piccola squadra, da poco tornata in Serie A, sceglie di trasformare una semplice trasferta in rito collettivo di rappresentanza, memoria e speranza. Supporter selezionati e organizzati dalla società viaggeranno con la squadra e saranno protagonisti di coreografie, eventi e momenti pubblici tesi a raccontare, dentro e fuori lo stadio, la passione autentica di chi vive il calcio come legame territoriale e occasione di riscatto.
Anche Carlalberto Ludi, direttore sportivo del Como, ha invitato a guardare all’iniziativa con equilibrio:
Comprendo chi ha dei dubbi se si tratta di una partita spot, ma se fosse l’inizio di un progetto di apertura globale allora avrebbe una dimensione più interessante.
Parole che riflettono la lucidità e la prudenza di un club che non rinuncia alla propria identità ma sceglie di affrontare la sfida come occasione di crescita collettiva.
Per il Milan, la partita avrà una dimensione diversa: il brand rossonero è già conosciuto e sostenuto da una solida base di tifosi in Australia, soprattutto nella community italiana locale e tra i molti fan club ufficiali che da tempo animano raduni ed eventi. In questo caso, la società ha preferito puntare su attivazioni digitali e coinvolgimento della base esistente, più che su una delegazione “ufficiale” di tifosi partenti dall’Italia—una scelta che rispecchia la densità internazionale della storia e della tifoseria milanista.
Nonostante la trasferta a oltre 13.000 chilometri di distanza, la differenza di fuso orario tra Italia e Perth — pari a 6 ore — permetterà di seguire la partita senza difficoltà anche da casa.
Un paradosso curioso: una partita disputata dall’altra parte del mondo ma che potrà essere seguita “in orario comodo”, trasformando un esperimento globale in un appuntamento condiviso tra due emisferi.
Ovviamente non manca chi vede nella trasferta australiana una mera operazione commerciale, più che una pagina sportiva autentica, ma per alcuni altri la sfida di Perth diventa anche occasione per interrogarsi sul futuro della Serie A: si può essere fedeli alle radici locali, e insieme capaci di parlare il linguaggio del mondo? Si può fare business senza perdere il primato delle emozioni e dei valori condivisi? Il dibattito è aperto e i sentimenti della piazza calcistica italiana si alimentano di nostalgia e speranza, timori e ambizioni.
Quando il calcio attraversa oceani e frontiere, si fa specchio di una società che cambia e si mette alla prova. La partita di Perth diventa così il fil rouge che unisce scelte personali, ricerca di senso e occasioni collettive: il sogno di una generazione che parte per lavorare, studiare, tifare, vivere. Il pallone rotola dove la memoria incontra il futuro — e ogni trasferta, ogni racconto, ogni fischio d’inizio può essere l’inizio di un’altra storia.